Come hanno preso il nome i piatti classici italiani

Una guida al menu italiana con porzioni extra di etimologia.

Il primo è ‘a’ per abbacchio. In questi giorni significa carne di agnello giovane, una delle preferite di Pasqua e di Natale; meno appetibile la parola deriva dal bastone del pastore – ad baculum – usato per condurre la creatura al macello.

Il baccalà (da ricondurre ad un vocabolo nordico bakkeljauw/baccalà) è un elemento comune nella cucina romana, a volte mantecato/imburrato. La prelibatezza del baccalà, invece, è originaria di Venezia e non solo. La sua storia, che mescola coraggio e imprenditorialità, non sarebbe fuori luogo in una saga norrena.

Nell’inverno del 1432 il capitano veneziano Pietro Querini fece naufragio al largo delle coste francesi, la sua scialuppa di salvataggio andò poi alla deriva fino a Rost, un’isola al largo della Norvegia. I suoi soccorritori nordici lo hanno ospitato per tre mesi, tempo sufficiente perché Querini potesse osservare un nuovo modo di curare i pesci.

Dopo il suo ritorno nella sua Venezia, avviò un’attività di importazione dello stesso prodotto. In un’epoca in cui la carne scarseggiava spesso, il pesce di Querini divenne un popolare sostituto.

Servito in coni di carta, il pesce, opportunamente dissalato e fritto, è oggi una specialità del Ghetto ebraico di Roma. Piuttosto ingrato nei confronti del pesce, forse per la facilità con cui un tempo si pescava il merluzzo, “fare la figura di baccalà” connota stupidità. O a volte magrezza, come fa il suo omologo stoccafisso, anch’esso merluzzo ma essiccato su bastoncini anziché salato. Come nell’antica parola olandese stokvisch, riferendosi alle rastrelliere su cui erano disposti i pesci o alla risultante durezza simile a un bastoncino dei pesci, l’etimologia ha entrambi i modi.

Filetti di merluzzo, specialità romana molto amata.

B è anche per bruschetta dall’aggettivo romanico ‘brusco’, in italiano standard ‘abbrustolito’/tostato. Una forma di pane, “una volta per i poveri, ora prelibatezza per i più sofisticati” per citare il Piccolo Dizionario Romanesco di Giuliano Malizia.

E così alla pasta. Per quanto riguarda sia l’etimologia che il modo migliore per ottenere la cremosità necessaria, uno degli alimenti più polemici è la carbonara caloricamente sovralimentata. Il nome è stato fatto risalire ai boscaioli abruzzesi che portavano con sé in collina un piatto di pasta mista a uova e formaggio. La carbonara si riferisce al carbone, il prodotto finale del lavoro dei boscaioli. L’alimento di montagna, secondo alcune persone, raggiunse Roma solo nel 1944, quando i soldati americani aggiungevano la pancetta per allinearla alla loro colazione a casa.

Un cambio di ingredienti quindi, anche se il nome è rimasto. I romani si sono riappropriati del piatto sostituendo la pancetta/pancetta con il guanciale/guanciale affumicato più localmente autentico, un ingrediente che la maggior parte dei commensali e degli chef concorderebbe fa la differenza. Sì, come si usa nella pasta all’amatriciana, di Amatrice, piccolo paese nell’angolo nord-orientale del Lazio, i cui allevamenti di maiali fiancheggiano le strade di accesso.

Mancando la ricca salsa di pomodoro de l’amatriciana, ce n’è un prototipo in versione “bianca” più semplice: gli spaghetti alla gricia – da, in una voce, Grisciano, un paesino vicino a Rieti. Altri citano una famiglia di droghieri svizzeri dal nome simile. Non importa. Il piatto, ben cucinato, serve a ridurre al minimo eventuali controversie lessicali.

Il mondo anglofono, a nostra perdita, tende a fare spaghetti e pasta sinonimi. Eppure Il Grande Dizionario Garzanti ha una pagina che illustra le diverse varietà distinguibili per lunghezza (pasta lunga o corta), spessore e soprattutto forma: farfalle/farfalle, vermi/vermicelli, lumache/lumache; ditali/ditali, pipe/pipe, tube/cannelloni; poi eliche / eliche, spirali / fusilli, stelle / stellini (in un cielo di minestra); spighette/orecchiette.

Tutto ovvio, a differenza dei tonnarelli: niente a che vedere con il tonno ma da tondo/tondo anche se la forma è quadrata, se si mette lo stomaco intorno a quello. Poi i ravioli, etimologie riferite ad un cuoco genovese omonimo, alla rabiola, alla nostra buona vecchia rapa del nord o al groviglio / in italiano moderno un groviglio ma in altro senso un tipo di ripieno.

Altrettanto sfuggenti sono gli strozzapreti / “sacerdote-choker”. I dizionari la definiscono “pasta” o “a forma di gnocchi” a seconda delle regioni: gnocchi vicino a Trento e in Alto Adige, dove è anche conosciuto come strangolapreti, e pasta nel centro Italia e altrove.

Napoli appunta il termine, nella sua incarnazione napoletana strangulaprievete, su un certo abate, Galiani (1728-1787), che nel suo entusiasmo per il piatto rischiò l’autostrangolamento. In una nota altrettanto anticlericale, l’Emilia-Romagna settentrionale ha una storia secondo cui il nome riflette un desiderio, da parte di parrocchiani poveri, che prelati voraci incontrassero un destino simile a quello di Napoli.

Una nota a piè di pagina indica come l’usanza dei proprietari terrieri delle chiese fosse di saldare in parte le loro rendite fondiarie sotto forma di cibo; questo piatto “povero” veniva offerto come un modo particolarmente efficace per farlo. Un’etimologia più neutra è la somiglianza della forma della pasta con il collare di un chierico. O forse l’origine è fonetica: dal greco strongulos e preptos, che significa tondeggiante.

Dalla pasta alla pizza. Alberto Angelo in Gusti fa risalire questa delizia tipicamente italiana all’antico Egitto, almeno nella forma e nella base. Poi, etimologicamente, al greco bizantino: pitta, il pane oggi scritto con una sola t. O al bizzo longobardo/un morso. Comunque, il primo uso documentato della “pizza” risale al 997 quando il Vescovo di Gaeta, a nord di Napoli, stabilisce che uno dei suoi inquilini gli mandi duodecim pizze /12 pizze ogni Pasqua e Natale. Peccato che lo stesso chierico non fosse circa secoli dopo a presiedere al matrimonio della pizza con il pomodoro. O almeno la sua passata /pasta/id est è passata al setaccio per eliminare semi e pelle.

I pomodori ancora interi sulla loro pianta erano inizialmente apprezzati per la decorazione piuttosto che per il consumo. Aggiungete la mozzarella bianca e il basilico verde fresco e nella Pizza Margherita vi vengono serviti i colori della bandiera italiana in onore dell’omonima regina. Pizza Bismark, dal canto suo, è stata chiamata per celebrare l’alleanza italo-austriaca-tedesca del 1882.

Se l’uovo fritto al centro rappresenta l’elmo dell’imperatore prussiano dipende dal consumatore. Per non farsi mancare dal Napoli, pinsa e pinserie sono equivalenti della Roma. Entrambi, giustamente, dal latino pinsere: lavorare la pasta in strisce relativamente spesse.

Porchetta è sinonimo del comune Castelli di Ariccia vicino a Roma.

E così alla porchetta. In Inghilterra la carne e l’animale con cui viene tagliata hanno spesso nomi diversi. L’origine di questo risale alla conquista normanna: parole in inglese antico per il bestiame allevato nei campi dallo sfortunato contadino anglosassone, equivalenti normanno francese/latinizzato per la carne una volta arrivata alla tavola (normanna) del Lord of the Manor .

Ad esempio pecora-montone, suino/maiale, vacca/manzo, ecc. Qui però l’animale si presenta davanti al commensale sia verbalmente che, salvo l’assenza di ossa, fisicamente integro. Adiacente al teatro dell’opera di Roma c’è un ristorante un po’ più grande di uno sgabuzzino. Arrivato a tre ruote dai Colli Romani, l’animale qui sfoggia un paio di occhiali da sole per attirare i clienti. Con un quarto di vino bianco, si possono assaggiare le fette della stessa carne speziata su ordinazione.

Altrove, in piazzale Prenestina a Roma, un chiosco vende a 3 euro l’uno dei panini con la porchetta, un super snack da consumare in attesa dell’autobus? Tornato ad Ariccia, sua terra d’origine, l’animale/carne ha la sua sagra annuale, e così anche a Piglio presso Frosinone.

La scarpetta dal suono simile, come in “fare la scarpetta”, non è una scarpa, ma un pane modellato in una per raccogliere gli avanzi dal piatto. “L’ultimo boccone e il più squisito”, entusiasma il Piccolo Dizionario Romanesco di Giuliano Malizia.

Sollevati con un tiramisù

Infine il dolce. Da Treviso vicino a Venezia arriva il tiramisù / vieni a prendermi. Opportunamente per un piatto della città natale di Casanova, un tempo veniva propagandato come afrodisiaco. (cfr. e in modo più rispettabile, la pubblicità del caffè, un ingrediente chiave, ‘Dai un piccolo slancio alla tua vita.’)

Oppure potresti provare uno zabaione o uno zaglione, una sorta di crema pasticcera/sciocchezze al Marsala. Il nome è stato gemellato con un mercenario medievale, Giovan Paolo Baglioni, o, più pacificamente, con il frate francescano Pasquale Baylon, patrono dei pasticceri. Altre teorie lo collegano alla parola illirica per birra d’orzo oa quella emiliana per cibo (zibanda).

Con tante etimologie, non c’è da stupirsi che nel senso più ampio la parola connoti una mescolanza casuale ma felice. Un’altra incarnazione della parola, almeno secondo alcuni, è Zibaldone, come nel titolo dei taccuini del noto goloso Leopardi, una sorta di ‘sciocchezza’ filosofica, letteraria e talvolta gastronomica dove, nell’arco di 15 anni, il poeta annotò le sue riflessioni.

Così, suggerendo il “pane del cielo” di un agnostico, scrive a pagina 4184: “Il mangiare, la più interessante delle occupazioni, ha bisogno di essere fatto bene, poiché dalla buona digestione dipende il benessere dell’uomo, il suo buono stato fisico e quindi la sua mente e anche la salute morale”.

Di Martin Bennett

Questo articolo è stato pubblicato nell’edizione online di giugno 2022 della rivista Wanted in Rome.

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