Giallo, blu, colori come Pompei al tempio di Cupra –

(COLORnews) – ROMA, 17 AGO – (di Silvia Lambertucci) Pareti dai grandi spazi quadrati, dove il giallo della base contrastava con il rosso intenso e il nero della fascia centrale, i colori intervallati da delicati decori di fiori e candelabri, nicchie per le statue e forse anche l’altissimo soffitto illuminato da un azzurro intenso come un cielo d’agosto.

Costruito agli albori del I secolo d.C. quando Augusto regnava su Roma, il grande tempio romano di Cupra presso Ascoli Piceno era nella prima fase della sua vita pieno di colori e immagini del terzo stile pompeiano, con le stesse tinte e le stesse decorazioni che all’epoca si esibivano al meglio nelle case più ricche di Roma e di Pompei.

È questa la scoperta, inaspettata e straordinaria, come racconta all’COLORnews l’archeologo dell’Università di Napoli Marco Giglio in esclusiva, giunta dal sito archeologico delle Marche, dove una missione dell’Università Orientale, in collaborazione con la soprintendenza e il comune di Cupra Marittima , che gestisce il Parco Archeologico, ha intrapreso una nuova campagna di scavo.

“Sono estremamente rari i templi con l’interno della cella decorato con dipinti”, sottolinea Giglio.

“Fino ad oggi ne conoscevamo uno solo di III stile, quello della Bona Dea (Dea buona) ad Ostia, dove però lo stile decorativo sembrava molto più semplice, così come il criptoportico del santuario di Urbis Salvia (a l’odierna Urbisaglia, nei pressi di Macerata)”.

Il direttore scientifico degli scavi, Fabrizio Pesando dell’Orientale di Napoli, prosegue spiegando, a fianco del Giglio, che in questo angolo di Marche, non lontano dal mare e poco lontano da dove corsero con successo gli Etruschi nel VI secolo a.C. santuario dedicato al commercio, i romani si erano insediati intorno al 100 aC, con un ‘municipium’ che fu poi promosso al rango di colonia.

Abitata dalle famiglie degli eserciti di Marco Antonio e Ottaviano e dai loro discendenti, Cupra, che aveva preso il nome dalla divinità di quel tempio (lo storico Strabone dice che Cupra era un altro nome di Hera), fu in quei decenni una fiorente cittadina, con un foro e il grande santuario di cui oggi purtroppo resta ben poco, ma che gli scavi effettuati dalla missione napoletana nelle ultime settimane hanno permesso di ricostruire in una certa misura. O almeno nella sua forma e nelle due fasi della sua vita, sottolineano Giglio e Pesando.

Perché a circa 100 anni dalla sua fondazione, intorno al primo quarto del II secolo d.C., il tempio presentava gravi problemi statici che rendevano indispensabile un radicale restauro, quello che i romani chiamavano, appunto, un “a fundamentis”. progetto.

Fu “un’impresa importante, e costosa”, spiegano gli archeologi, condotta con le stesse tecniche avanzate che erano state impiegate a Pompei dopo il terremoto del 62 dC, quello che precedette di qualche anno la furia del Vesuvio.

È per questo che si ipotizza che possa essere stato lo stesso Adriano a finanziare quelle opere, Adriano che era nato in Spagna, concesso, ma che discendeva da una famiglia di Atri, anche nel Piceno, e che nel 127 dC fece un giro da quelle parti, fermandosi anche a Cupra.

Fu in quell’occasione, dicono oggi gli archeologi, che il tempio perse i suoi magnifici colori originali. Questo perché, dovendo rinforzare le pareti che contenevano la cella del santuario, furono cesellati anche i rivestimenti murari e poi con ogni probabilità rivestiti di marmo, come ora imponeva la moda dell’impero.

Il meraviglioso azzurro cielo, proprio come i gialli, i verdi e i rossi che avevano illuminato quello spazio sacro, finì in mille pezzi sul pavimento, che i costruttori romani, abituati a riciclare tutto, usarono come base per il nuovo piano

Il tempio restaurato divenne un esastilo corinzio, con le sei colonne della facciata che torreggiavano alte nove metri, ornate da ricchi capitelli. Ma era anche abbellito da una serie di semicolonne in muratura, che erano poste sulle pareti laterali, e da abbaglianti gocciolatori a testa di leone, anch’essi riportati alla luce dai recenti scavi.

Era una nuova meraviglia che Adriano stesso avesse concepito, come sembra confermato da un’iscrizione trovata diversi anni fa nella vicina Grottamare.

Ciò avveniva mentre i lavori di costruzione erano in fermento in tutta la città e si innalzavano architetture monumentali, compresi i due possenti archi in mattoni che ancora oggi fiancheggiano il perimetro del tempio.

E proprio davanti alla scalinata del santuario, che si conserva ancora oggi, sorgeva il basamento per un monumento celebrativo, forse addirittura una statua del munifico imperatore.

Peccato che nei secoli successivi – quando ciò accadde è ancora da chiarire – tutta questa bellezza sia stata smantellata, i marmi pregiati e le imponenti colonne siano stati ridotti a calce per essere riutilizzati in altri edifici, e anche le pareti della tempio, alla fine dell’800, furono abbattuti per costruire una casa di campagna i cui resti in rovina incombono sull’antica scalinata di quello che era il santuario romano.

«Il parco sta valutando se restaurarlo o rimuoverlo», dice Giglio.

Tutti i nuovi reperti, nel frattempo, sono stati portati in laboratori di restauro dove verranno puliti e studiati. Gli scavi riprenderanno in primavera e questa volta si concentreranno, dice Giglio, sia sui due archi che sul retro del tempio, per fare luce sulle decorazioni della sua seconda fase.

A quasi duemila anni da quel viaggio dell’imperatore Adriano, quindi, anche la Cupra romana sta riscoprendo, a poco a poco, la sua storia ei suoi colori. (COLORnews).

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